Vivo a Berlino Est da una decina d´anni, e a parte qualche cappatina notturna Kreuzberg che di fatto considero una realta a se´, vivo e lavoro nel Ost-Berlin. Il muro e´ caduto da oltre vent´anni ma le differenze non sono state ancora livellate. Detto questo, per me andare a Charlottenbug-Wilmersdorf e´ quasi come visitare un´altra citta´. Ieri sera dopo il lavoro, mi sono avventurato con zaino in spalla nel Kudamm e nella Kanstrasse. Mi sentivo un po´ spaesato quasi come la prima volta che atterrai allo Zoo nel 2001. Vetrine luccicante, commesse imbellattate con tacco 15, signore impellicciate, macchinoni scintillanti, giovani immigrati di seconda e terza generazione che scimmiottano gli occidentali, greggi di turisti rumorosi, nessun punk per strada, neanche una signora col passeggino, poche bici per strada, marciapiedi splendenti senza cacche di cane e cocci di bottiglia.
Il motivo che mi ha spinto a varcare il limes della Potsdamerplatz e´ oscuro anzi e´ una materia oscura, cosi´ come il titolo del film italiano presentato alla Berlinale.
Il tema e´ scottante, si tratta del Poligono Sperimentale di Addestramento Interforze del Salto di Quirra. “Il Poligono, costituito nel 1956, è l'unico del genere in Italia e provvede, oltre che alla sperimentazione di missili e razzi, all'addestramento del personale delle tre FF.AA. ed alle esigenze di molti Enti Scientifici Nazionali e Stranieri che ne usufruiscono per le loro ricerche (Centro Italiano Ricerche Aerospaziali dell'Università di Roma, Agenzia Spaziale Europea, ecc.).” (fonte wikipedia). Praticamente eserciti e fabbricanti di armi da tutto il mondo hanno testato armi sperimentali e fatto brillare bombe, missili e ordigni di ogni tipo, in barba alla comunita´ locali. Si calcola che l´80 % delle bombe esplose dal dopo guerra in Italia siano state fatte esplodere in Sardegna. Oltre al Poligono di Quirra non dimentichiamo tutte le altre servitu´ militari sull´Isola come Capo Frasca, la Maddalena e Teulada, giusto per citare gli esempi piu´ famosi.
Le accuse contro il Poligono sono pesanti: inquinamento e omicidio plurimo su cui indaga la procura di Lanusei. E´ la cosidetta sindrome di Quirra, vale a dire incidenza fuori norma di leucemie e linfomi, malformazioni tra i militari, i pastori, gli abitanti, gli abitanti e animali delle zone limitrofe. Per capirci si tratta di un disastro ambientale, paragonabile alla catastrofe di Chernobyl. Un muro di silenzio, segreti militari, paure, omerta´, disinformazione e controinformazione aleggia su Quirra. Il tema e´ scottante, probabilemte anche per questo il film in questione non e´ stato publicizzato dai media nazionali e soprattutto regionali, troppo impegnati a scrivere delle ultime marachelle di Balotelli. Sono venuto a sapere della programmazione tramite il buon vecchio caro passa-parola della ricca comunita´ italiana Berlinese.
Il film documentario di Massimi D´Anolfi e Martina Parenti selezionato nella sezione Forum della 63° edizione della Berlinale e´ stato presentato ieri Martedi 12/12/2013 al cimem Delphi nella Kanststraße. Il film e´ quasi un film muto, senza una voce narrante, le voci dei pochi dialoghi sono in italiano e prevelantemente in sardo campidanese. In assenza di dialoghi la colonna sonora scritta da Massimo Mariani, unico collaboratore, assume un ruolo importante. “Il suono assume importanza perche´ proprio nell´invisibilta´ delle cose, i suoni diventano fondamentali,in relazione alle immagini, diventano le chiavi di accesso per capire le cose, per andare piu´ a fondo in quello che uno non riesce a vedere e le cose che non si possono guardare” afferma Martina Parenti.
Merito dell´opera e´ anche quello di mostrare un´altra Sardegna, che non e´ quella di Villa Certosa e del Billionaire e neanche quella delle montagne incantate della barbagia,una Sardegna appunto oscura ai piú, ma non agli abitanti dell´Isola.
Il film e´ diviso in tre movimenti: il primo movimento e´ quello del poligono di terra con il biologo che analizza la contaminazione del suolo. Poi c´e´ un intermezzo con immagini dell´archivio del poligono. Interessante anche dal punto di vista cinematografico perche´ sono stati i primi a filmare a 800 fotogrammi al secondo, anticipando di dieci anni il cinema di massa. La terza parte e´ quella del poligono a mare e della storia dei due allevatori.
L´idea nella terza parte era quella di filmare una nascita, invece si sono poi ritrovati a filmare la morte,l´ennesima, di un vitello morto a causa di una malformazione. Che poi e´ anche la chiusura del film.
Il film mette a confronto la vita dei pastori che vivono in maniera arcaica come 50 anni fa, a stretto contatto con la tecnologia piu´ avanzata, e per anni anche ignorando i pericoli delle nano particelle in particolare del Torio, ben piu´ pericolo dell´uranio impoverito, quest´ultimo poi e´ quasi impossibile da rilevare nell´ambiente. Probabilmente quardavano i lanci con stupore e ammirazione senza sapere della morte nascosta in quelle nubi nere.
Il film a mio parere il merito di affrontare un tema, di cui si sa e si parla troppo poco, in un luogo in cui si gioca alla guerra da piu´ di 50 anni in tempo di pace. Quello che manca sono i dati e le statistiche, che possano chiarire e spiegare agli spettatori l´entita del fenomeno. La mancanza di una voce narrante rende altresi difficile per un pubblico non informato seguire e capire lo svolgersi dell´azione. Scelta comqunque voluta dai registi”il nostro e´ un film preinformazione postinformazione e fuori dalla dinamica della statistica, dell´inchiesta di stampo giornalistico. Ci fa piacer se in qualche modo i l flm faccia venire la voglia di andare a informarsi e scoprire cose su questo luogo” afferma D´Anolfi. Sempre D´Anolfi durante il dibattito post-proiezione” noi principalmente vogliamo fare un film che parlasse fondamentalmente di cinema e del poter del cinema di evocare”.
La cosa che piu´ e mancata e´ una presa di posizione e di forte denuncia contro le esercitazioni, dovuto forse al fatto che ci sia una indagine in corso. Compito dell´arte e del cinema documentaristico e´ anche prendere posizione, osare, per non correre il rischio che il film diventi un´opera d´arte fine a se stessa.
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