Il problema della Mafia non è più oramai una peculiarità solo italiana, ma è un fenomeno che ora mai ha investito anche il nord europa ed in particolare la Germania, dove in soprattutto a partire dagli anni 90 la criminalità organizzata ha trovato terreno fertili, subito dopo la riunificazione delle due Germanie. Ed proprio nella ex DDR, dove praticamente tutte le infrastrutture andavano ricostruite e gli immobili erano buon mercato che le cosche mafiose hanno focalizzato la loro attenzione.
Petra Reski è una scrittrice e giornalista tedesca famosa per la sua letteratura di denuncia sulla criminalità organizzata. Ha pubblicato in Italia nel 2009 "Santa mafia. Da Palermo a Duisburg: sangue, affari, politica e devozione Santa mafia". Ed è proprio il bagno di sangue di Duisburg dell'anno scoroso che ha portato all'attenzione dei media tedeschi il fenomeno mafioso. Riporto alcuni passi di un intervista di Petra Reski pubblicata oggi dalla Sueddeutsche Zeitung online, da me liberamente tradotta.
La Strage di Ferragosto o Strage di Duisburg è quella strage avvenuta il 15 Agosto 2007 in Germania a Duisburg davanti al ristorante italiano Da Bruno ad opera della 'Ndrangheta.
L'opera sarebbe stata eseguita da affiliati alle 'ndrine dei Nirta e degli Strangio contro la 'Ndrina dei Pelle-Vottari come ultimo atto della faida di San Luca scoppiata nel 1991. Infatti cinque persone uccise erano originarie del piccolo paese aspromontano di San Luca. Uno di loro era originario di Corigliano Calabro.
Nonostante la Strage di Duisburg la politica sminuisce il ruolo della Mafia in Germania. La scrittrice Petra Reski spiega come i clan, lavano il danaro sporco, manipolano l'opinione pubblica e poichè gli appartenenti alle cosche da queste parte girano addirittura in bicicletta col casco.
SZ: Signora Reski, Il Nord Reno-Westfalia ( è il più popolato dei sedici Stati federati della Germania è secondo) la Deputata italiana Laura Garavini "un centro delle attività mafiose all'infuori dell'Italia". La strage mafiosa di Duisburg non ha scosso la Germania?
Petra Reski: Purtroppo no. Nè nella politica nè nella coscienza della società è cambiato qualcosa. Nell'estate del 2007 inizialmente si è rimasti scioccati che un simile atto di violenza potesse accadere in Germania, ma nel frattempo l'interpretazione più diffusa è che alcuni Italiani si sono ammazzati tra di loro, a noi non ci riguarda.
SZ: Per quale ragione il tema non viene ripreso dalla Politica?
Reski: un investigatore Tedesco mi riferì: i politici sono degli opportunisti, e sino quando il parlare della Mafia non porterà dei vantaggi, il tema non verrà affrontato. Il terrorismo internazionale è al momento il pericolo pubblico numero uno, e molti fondi per la lotta alla criminalità organizzata sono stati tagliati. La Mafià può così continuare ad agire indisturbata.
SZ: Come si spiega la strage di Duisburg? La 'Ndrangheta non poteva mostrare più chiaramente che ora non sono più attivi solo in sud Italia.
Reski: Si è trattato di un incidente di percorso. La 'Ndrangheta calabrese, Cosa Nostra Siciliana e la Camorra napoletana sono le più antiche organizzazioni criminali e sanno benissimo che la cosa migliore è quella di non dare nell'occhio. Dopo gli attentati che hanno insanguinato l'Italia agli inizi degli anni 90 ci sono voluti una decina d'anni per riportare la calma ed il consenso sociale. Questo consenso sociale viene cercato anche da noi, in modo da sminuire il problema.
SZ: Uno dei principi fondamentali della Mafia è quello di essere parte integrante del tessuto sociale.
Reski: Sono perfettamente integrati: a partire dalle mogli tedesche, passando per direttori di banche, partner commerciali e arrivando a commercialisti e avvocati. Questo è l'humus vitale dei clan. E naturalmente curano i loro contati con imprese, funzionari pubblici e politici a tutti i livelli.
SZ: Il volume d'affari di Camorra, Cosa Nostra e 'Ndrangheta è stimato intorno ai 140 Miliardi di Euro- quasi quanto il PIL di Danimarca o Portogallo. Non si dovrebbe combattere il problema a livello europeo?
Reski: Assolutamente, ma purtroppo le poche iniziative del Parlamento Europeo non vengono sostenute. Che l'Europa non veda la Mafia come un problema, lo si capisce dalle diverse leggi nazionali. Il riciclaggio di denaro sporco è perciò in Germania assolutamente facile, perchè gli investitori non devono dimostrare che il denaro sia pulito, ma piuttosto la polizia deve dimostrare che il denaro provenga da attività illecite. Se un 21enne Italiano vuole comprare una pizzeria del valore di 80.000 Euro è sufficiente che attesti che il denaro gli è stato regalato da un suo zio in Italia ed il pubblico ministero non può far nulla.
SZ: Che possibilità ci sono in Italia per combattere la mafia?
Reski: Le più importanti leggi
sono state promulgate dopo gli attentati ai magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nel 1992. In Italia le leggi vengono fatte spesso quando i corpi sono ancora caldi. Ora si cerca pian piano di “svuotare” queste leggi non soltanto dal governo Berlsuconi ma anche da parte dei precedenti governi di centrosinistra. Una delle leggi più importanti è la legge Pio-La-Torre che permette allo stato di confiscare i patrimoni mafiosi.
SZ: In Germania non esiste il reato di associazione mafiosa.
Reski: Esiste solamente il reato di cosituzione di una associazione criminale che prevede comunque pene minime. Una normativa europea unitaria sarebbe auspicabile.
SZ: Per quale motivo il Il Nord Reno-Westfalia è un posto così fertile per le associazioni mafiose?
Reski: Dipende innanzituto dal fatto che il traffico della droga arriva via mare dall'Olanda alla NRW. Ma ci sono altri motivi, I Gastarbeiter italiani ( in italiano significa "lavoratore ospite". Il termine è stato coniato durante gli anni cinquanta del XX secolo per designare il gran numero di lavoratori stranieri immigrati nella Germania occidentale) arrivarono in questa regione a partire dagli anni '60, così come nella zona di Stoccarda e Monaco di Baviera, queste erano regioni particolarmente ambite perchè vicine all'Italia. Buona parte di questi venivano dalla Calabria, regione in cui era molto diffusa l'idea di trascorrere qualche anno all'estero, mettere da parte un po' di soldi e tornare in patria. Ad un certo punto la 'Ndrangheta notò questo trend e decise di approfittarne, e decise di investire molti soldi in immobili ed Hotel in particolare nella ex Germania Est. La Camorra d'altro canto ha investito più nella falsificazione di prodotti; dai trapani agli oggetti di design.
SZ: Come mai gli esercizi gastronomici sono così adatti per i clan della Mafia?
Reski: Ci sono molti vantaggi logistici. Le pizzerie e ristoranti sono in parte ideali punti d'appoggio per i nuovi arrivati e permettono di riciclare il denaro sporco. Inoltre sono naturalmente perfetti punti d'incontro.
SZ: Dopo che il suo libro è stato pubblicato in Italia il Senatore e cofondatore di Forza Italia Marcello dell'Utri ha annunciato una denuncia per diffamazione.
Reski: Aspettiamo, visto che al momento Dell'Utri ha problemi ben più seri, come ad esempio il processo di secondo grado per concorso esterno in associazione mafiosa. Diversi pentiti mafiosi lo accusano di essere stato per anni l'anello di congiunzione tra Cosa Nostra e Berlusconi, proprio negli anni 90 quando la Prima Repubblica affondava e la Mafia cercava nuovi alleati. Forza Italia avrebbe rilevato il ruolo della Democrazia Cristiana.
SZ: Il ruolo della Chiesa è ambiguo: i Boss della Mafia possono in clandestinità sposarsi o pentirsi, solo pochi preti collaborano con le autorità. Come si può spiegare?
Reski: Non c'è sino ad oggi un documeno ufficiale del Vaticano che condanni la Mafia. Nel 1993 Papa Giovanni Paolo II maledì e dichiarò i mafiosi senza Dio nel suo famoso discorso di Agrigento. Per ora Benedetto XVI non ha dichiarato nulla di simile. Una presa di posizione forte ed ufficiale sarebbe asuspicabile anche e soprattutto per incoraggiare i preti nella loro azione quotidiana.
SZ: Signora Reski la ringraziamo per l'intervista.
L'articolo originale completo redatto in lingua tedesca può essere letto cliccando al seguente link:
http://www.sueddeutsche.de/,tt2m1/politik/741/501981/text/
Leo Peronivich